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lunedì 23 marzo 2009

Hitler era innocente



“Hitler era innocente” di Aldo Moscatelli

Recensione a cura di Cristina Bove

Che non si tratti di un libro qualunque lo si capisce già dalla copertina, rigorosamente nera, senza frontespizio, come a non dare adito a qualità alcuna che non sia quella dell'assoluta oscurità.
L'argomento, del resto, non lascia spazio ad escursioni fantasiose, tanto meno ai colori di un normale vissuto o di una qualche speranza.
È un libro, questo, che dovrebbe essere letto da tutti, acquisito come testo scolastico, perché è una documentazione straordinaria del pericolo cui le società tutte sono esposte se una ideologia attecchisce prevaricando le menti, in maniera apparentemente epidemica, in realtà come un morbo subdolamente endemico.
Ed è questo che, più di ogni altra considerazione, inquieta.
L'Autore narra in prima persona, attraverso il protagonista: un lettore onnivoro, diventato, ancora giovanissimo, appassionato libraio. “Lettore della peggiore specie, quello da sbornia, avevo già divorato centinaia di libri...”
Questi viene denunciato da un ragazzino che si insospettisce quando lui gli consiglia di leggere Thoreau e lasciar perdere il Mein Kampf,.
Arrestato sarà deportato nel famigerato Lager Libertà.
Subirà ogni genere di privazione e umiliazione, con “...un'atroce consapevolezza: mai più avrei letto, o anche semplicemente sfogliato, un libro.”
C'erano colori, nel lager: rosa quello degli omosessuali, verde quello dei criminali comuni, rosso i contestatori politici, nero gli asociali, stella gialla gli ebrei.
Al protagonista, Felicien, viene assegnato il nero. La sua attività era considerata estremamente pericolosa: offrire la lettura, il sapere, la conoscenza che illumina la mente, pessime cose, tutte, sotto ogni dittatura.
Da qui si snoda il resoconto di una prigionia così prossima alla morte da esserne tallonati giorno dopo giorno, in un incredulo susseguirsi di eventi tragici e terribili, di ferocia talmente disumana che è impossibile rapportarla a una qualunque parvenza di vita.
Eppure di vita si tratta, di vita ridotta all'osso (e non è una metafora), di vita che solo un filo sottilissimo di casualità separa dalla morte, e nella quale si finisce per “...porsi delle domande cui un singolo uomo non può offrire risposta...”
Continua, questa pseudo-vita, nella disperazione che a volte appare quiescenza, al limite tra ragione e follia.
Pochi uomini riescono a mantenere il senso di un sé deprivato comunque dei connotati umani naturali, ridotto a un mero sussistere di funzioni essenziali, quali ingurgitare fetidi e irrisori alimenti, quel tanto da poter sopravvivere, in condizioni talmente obbrobriose che sarebbe auspicabile morire.
Deprivati di sentimenti, emozioni, pulsioni naturali e fisiologiche.
Ridotti a nulla, scheletri anche nell'anima.
Di vivo c'è soltanto un residuo di pensiero.
È quello che salverà Felicien e pochi altri dallo sterminio programmato.
L'Autore si avverte dietro ogni parola, lo si sente appassionato nel tentativo di comunicarci l'orrore di una storia che purtroppo è anche Storia.
Amaramente deve constatare, sempre immedesimandosi nel protagonista, che non basta sopravvivere a una sorte disumana per sentirsi di nuovo “simile tra simili”né basta far conoscere le atrocità di un evento, che mai avrebbe dovuto verificarsi, perché perfino la memoria si inceppa e il narrarne potrebbe diventare addirittura “vuota retorica...ottuso pessimismo...forse”.
Occorre allora essere realisti per “...impedire così che la barbarie nazista torni a manifestarsi fra noi senza che almeno un essere umano urli: io non ho dimenticato!”
Se si uccide il passato, si può uccidere anche il futuro.
Ci mette sotto gli occhi la verità: “...Un uomo senza memoria è destinato a commettere vecchi errori, a cancellare tutto quello che ha imparato. Un uomo che non ricorda non ha nulla da insegnare, perché nulla sa. Un uomo che non ricorda è un uomo inutile.”
Nell'oscurità dell'oblio può annidarsi il germe di quell'idea che può portare ancora a un nuovo Hitler, paradossalmente innocente per essere quello che è, ma possibile trasmettitore di tare ideologiche ai suoi discendenti, qualunque sia il paese che li partorisce, figli di ignoranza tenebrosa, essi i veri colpevoli, per averne sostenuto, attivamente o con l'ignavia, la disumana follia,
Loro i veri colpevoli, sì.
Hitler era innocente.