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lunedì 10 ottobre 2016

Alessandro Moscè




http://giotto.ibs.it/cop/cop.aspx?s=B&f=170&x=0&e=9788883092008
Avagliano Editore  (collana I corimbi)



Un libro che è un’autobiografia sui generis, che si sofferma sugli aspetti adolescenziali  dopo un momento tragico della vita di Alessandro: la malattia che ha condizionato la sua vita di bambino, ma che lo ha anche dotato di una sensibilità che solo chi ha sperimentato il dolore e la paura della morte imminente può comprendere.
Sono trascorsi trent’anni da quei momenti cruciali, anni che hanno sedimentato nei ricordi e che, finalmente, sono emersi in tutta la loro chiarezza, grazie anche a un incontro che gli ha reso possibile visitare i luoghi della sua sofferenza e a fargli vincere la reticenza a parlarne.
È una storia di vita vissuta con la consapevolezza di chi è sopravvissuto a qualcosa di terribile, ma anche ha beneficiato di incontri importanti che lo hanno aiutato a  superare la drammaticità di un evento dolorosamente incomprensibile per un bambino.
In questo nuovo libro, Moscè affronta il dopo, l’adolescenza con le sue pulsioni, ciò che lo ha portato a scrivere, e che gli ha dato l’opportunità di scandagliare l’amore, la passione per il calcio, la poesia, e l’affetto di chi gli è stato vicino. 



 cb





Incipit


Il ricordo dei natali degli anni Settanta è come una magia, dopo il 20 dicembre. Ma negli anni Ottanta, quelli della crescita fisica, non è stata più la stessa cosa. Fare l’albero, addobbarlo, non era un gesto incantevole. Alessandro lo sapeva e se ne rammaricava. Gli prendeva un groppo alla gola. Eppure la stella cometa di cartone era la stessa, come le sfere multicolore, le stelle filanti e il pino di plastica che si smontava. Ad accendere il passato era stato ancora una volta lo scantinato. Alessandro era sceso nella sua grotta, come la chiamava, ed aveva aperto lo scatolone del Natale chiuso con il nastro adesivo. C’era il vestito schiacciato da una parte, il costume di Babbo Natale completo di copri stivali, cintura, cappello, giacca e pantaloni con tasche nel morbido tessuto vellutato. La barba era stata venduta separatamente. Taglia unica, XL. Lo indossava suo padre quando lasciava i pacchi dono fuori della porta, dopo aver suonato il campanello due volte. Alessandro e suo fratello ci credevano che sarebbe arrivato prima di pranzo, intorno a mezzogiorno. E puntualmente, il 25 dicembre, arrivava il papà di tutti.
“Mio caro Babbo Natale”, era scritto nella letterina sotto i piatti di porcellana decorati con i fregi. Il nonno si commuoveva mentre apriva il portafoglio e stirava le banconote da dieci mila lire. Alessandro recitava, i cugini urlavano, gli zii battevano le mani e la nonna portava in tavola i cappelletti in brodo cucinati con la polpa di maiale e il pollo tritato. Quindi la stracciatella con il brodo di carne e la noce moscata, la spezia che Alessandro non aveva mai capito dove si coltivasse. Poi la faraona arrosto, la parmigiana di zucchine e il tacchino farcito. Il torrone Bettacchi e il pandoro Bauli chiudevano il pranzo. Ci si metteva a scartare i regali freneticamente. Le carte argentate e i fiocchi arricciati venivano accatastati sotto il tavolo allungabile.
Dopo trent’anni i nonni non ci sono più. Non c’è più neanche zia Mariella, che pepava la faraona e diceva sempre che bisognava aggiungere il rosmarino e una fettina di pancetta. Alessandro si mette a sedere sul divano della sala. Fuori ha nevicato tutta la notte. Accende la televisione e passa in rassegna i canali. Quella volta lo schermo era in bianco e nero e le partite di calcio si ascoltavano alla radio a transistor. C’era la domenica della settimana di Natale che vedeva impegnate le squadre del cuore: la Juventus del cugino Massimo e il Bologna di nonno Ernesto. La Lazio di Alessandro, dopo l’euforia dell’anno dello scudetto, nel 1974, aveva smarrito le prime posizioni della classifica e lottava per non retrocedere. Enrico Ameri e Sandro Ciotti trasmettevano la radiocronaca delle sfide più importanti della giornata su “Tutto il calcio minuto per minuto”, mentre la sera Paolo Valenti conduceva “Novantesimo minuto”, dove scorrevano le prime immagini della domenica allo stadio. La Juventus e il Torino si contendevano gli scudetti, mentre le squadre milanesi arrancavano. “Novantesimo Minuto” era lo spazio più atteso di “Domenica in”, il programma condotto su Rai Uno da Corrado, che aveva il suo epilogo, durante il periodo natalizio, con la Lotteria Italia. Era una festa, sempre. Dopo le partite il mercante in fiera, la briscola e il tressette. Nonno Ernesto fingeva di sbagliare, giocando le carte, per far vincere i nipoti. Di notte si dormiva poco e si parlava sotto voce, nella camera da letto.[...]